LA FACCIATA DELLA CHIESA DEL GESÙ NUOVO A NAPOLI

Napoli, si sa, è una bellissima città dalle mille sorprese e ogni volta che si visita si vedono gli stessi luoghi con occhi diversi o si scoprono dettagli, particolarità che non si conoscevano prima o che si interpretavano in maniera sbagliata. È questo il caso della facciata in bugnato della chiesa del Gesù Nuovo, che si trova nell’omonima piazza nel cuore della città dove si trova custodito il corpo di San Giuseppe Moscati.

Questo luogo, oltre ad essere un gioiello di arte barocca e una delle chiese monumentali più belle della città, nasconde un segreto nella sua facciata, un segreto ormai svelato da tempo ma sul quale vale la pena di soffermarci e di cui non tutti sono al corrente.

Prima di essere una chiesa, il Gesù Nuovo era la dimora della Famiglia Sanseverino e risaliva al Cinquecento. La dimora fu acquistata nel 1584 dai Gesuiti che la trasformarono in una chiesa. Venne inaugurata nel 1750 e sin da allora è uno dei luoghi di culto più importanti della città.

La sua bellissima facciata di bugnato (le bugne altro non sono che delle piccole piramidi aggettanti verso l’esterno a creare una sorta di punta di diamante) ha sempre attratto studiosi e in passato si è pensato che fra le antiche pietre sporgenti si nascondessero simboli esoterici e riferimenti occulti. Per anni l’alone di mistero ha alimentato leggende e curiosità sulla chiesa, ma alla fine il mistero è stato svelato: i simboli incisi sulla facciata della chiesa del Gesù Nuovo altro non sono che i segni di una partitura musicale. Infatti, dopo ben cinque anni di studi, lo storico dell’arte Vincenzo de Pasquale, coadiuvato dal gesuita Csar Dors e dal musicologo Lòrànt Réz, ha svelato che le incisioni sono i 7 simboli dell’alfabeto aramaico usate per rappresentare le 7 note musicali disposte sul pentagramma. Le lettere disposte sulla superficie della facciata, come su di un pentagramma, lette in sequenza da destra a sinistra guardando la chiesa e dal basso verso l’alto, possono essere tradotte in note e suonate. La melodia che così si compone dura quasi tre quarti d’ora e prevede l’impiego di strumenti a plettro (mandole e affini).

Nel corso degli anni le indagini condotte su queste pietre hanno portato Vincenzo de Pasquale a scoprire che molti avevano interpretato erroneamente questi segni come simboli alchemici e messaggi occulti probabilmente legati all’arte dei maestri pipernai (coloro, cioè, che lavoravano questo particolare tipo di roccia di origine vulcaniano abbondante in Campania, detta appunto piperno). Addirittura si era pensato che al palazzo fosse legata qualche maledizione, visto anche il destino tormentato dell’edificio e tutti i cambi di proprietà e di destinazione d’uso che ne avevano caratterizzato la storia.

In realtà, l’imperizia degli operai di ricoloccare nella giusta posizione le bugne che loro stessi creavano avrebbe fatto posizionare le pietre in modo erroneo rispetto a quello che si voleva trasmettere. Eppure, qualcosa non quadrava nell’interpretazione esoterica dei simboli. Si trattava, in effetti, solo di musica, pur se travestita in lettere semitiche e legata alla fiosofia di ascendenza pitagorica. In realtà, l’uso di segni che componevano una musica non era inusuale nel tardo Umanesimo.

Viene, però, da domandarsi il motivo per cui si era persa la memoria delle note aramaiche. De Pasquale lo attribuisce all’avvento della Controriforma che definì nuove e rigide regole per la pittura e per l’arte in generale. Da questa scoperta è scaturito anche un concerto intitolato Enigma ed è stato trascritto per organo, in quanto si tratta di musica rinascimentale che segue i canoni gregoriani. Il desiderio di De Pasquale è quello di poterla far eseguire in pubblico proprio al Gesù Nuovo, restituendo alla città la musica che le era stata dedicata.

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